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Virtual Identity

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You do have to! un clic e ti salvi, pensaci.

È mattino. Ti alzi, è ora di colazione, cerchi il tuo pancake, non lo trovi. Tragedia.  E questo non può far altro che imbestialirti: ci vuole uno sfogo! Accendi il pc/mac, apri Facebook ed in bacheca riporti tutto il tuo malessere:<<Dove diavolo sono finiti i miei pancake?>>. E magari speri nel commentino di qualcuno, che tazza alla mano, mostrerà cordoglio e compartecipazione al lutto calorico mattutino.

Contemporaneamente, una casa non molto distante viene svaligiata.

Ma torniamo allo sfortunato consumatore di pancake. Esattamente il giorno dopo. Bussano alla porta, apre e si ritrova in un bel guaio. È la polizia. Ed il malcapitato (almeno per ora così pare) è il ricercato n.1 per una rapina a mano armata,  avvenuta nell’appartamento sopra citato, nella mattinata precedente. Questo è quanto accaduto a Rodney Bradford, newyorkese di Harlem: il 18 ottobre 2009 la polizia lo accusa infatti di essere l’autore della rapina avvenuta il giorno prima intorno alle 11.49, nell’appartamento di Brooklyn. Il ragazzo non ci sta. Oltre al danno (l’irreperibile pancake), anche la beffa! E chi si sognerebbe di svaligiare un appartamento a stomaco vuoto?!  Ma proclamare la propria innocenza non basta, ci vogliono le prove. A fornirle, e qua sta la notizia, è proprio Facebook! In effetti le tesi della difesa hanno fatto leva su quell’amaro post col quale il ragazzo aveva denunciato lo stato di disgrazia nel quale era caduto in quello scorcio di mattina, a causa di un pancake latitante. Dai tabulati della piattaforma di sharing più popolare al mondo sono saltati fuori i dati che avrebbero poi scagionato il ragazzo: negli stessi istanti in cui avveniva la rapina, egli era a casa sconsolato avanti al suo monitor a comunicare la sua disperazione agli amici. Così è parsa inammissibile la sua colpevolezza e pertanto, lo status di sospettato veniva a cadere miseramente. Accuse ritirate e tante scuse.

Non tutti la pensano così. Joseph Pollini, professore presso il John Jay College of Criminal Justice, lamenta eccessiva superficialità e brevità del processo. Chiunque sia in possesso delle credenziali di Rodney avrebbe potuto inserire nome utente e password, fornendogli un alibi in maniera semplice e veloce, commenta il docente. In effetti pare sia il primo caso in cui un update (al secolo, aggiornamento) possa intervenire come alibi e sconfessare un’azione giudiziaria nei confronti di un cittadino. E d’altra parte sembra assurda una risoluzione simile, soprattutto nell’ottica di una possibile (se non possibilissima) manomissione dei dati digitali immessi nel sito. Mah, per non dire bah…(la mente ripercorre a ritroso la storia delle farse giudiziarie italiane che hanno segnato la vita di volti noti e meno noti, comunque innocenti: Enzo tortora per esempio).

In ogni caso Facebook ha ricevuto con questo caso una sorta di beatificazione. La community, da strumento virtuale che era, si è trasformato in una specie di censimento. Abominevole? Può darsi. Rimane in ogni caso una certificata supremazia del virtuale sul reale, anzi è il suo contrappeso concreto.

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