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MARAT-SADE appunti

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Autore, premesse teoriche, sfondi culturali, temi del Marat-Sade di Peter Weiss in cui lo sperimentalismo linguistico prende per mano la dimensione politica della rappresentazione in cui affiorano critiche probabilmente rivolte ai paesi sovietici dell’est Europa

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AUTORE, PREMESSE TEORICHE, SFONDI CULTURALI, TEMI

Debutto a Berlino nel 1964, Schiller Theater. Debutto come autore per Weiss (è stato anche pittore e scrittore).

Brook lavora al testo in totale libertà, sfruttando l’assenza di una tradizione per la messa in scena specifica. Lavora in assenza di modelli (modelli e relative abitudini sono del resto contrari alla lezione brechtiana, cui Weiss, epigono di Brecht, si riferisce e che viene rispettata anche nell’allestimento di Brook).

Weiss attua sperimentalismo linguistico per una dimensione estremamente politica della rappresentazione. Si fa interprete di una critica sociale, una critica alla realtà (atteggiamento brechtiano)

Il Marat-Sade è visto come un grande ibrido, in cui convivono parti diverse per origine.

Nel testo di Weiss si assiste a un mondo che cambia (si assiste a diversi livelli storici e cronologici che convivono nella forma del play within the play): il teatro quindi può rappresentare il mondo, ma un mondo che cambia. Il fatto che Brook abbia scelto di dirigere questa piece mostra il fatto che anche egli si sia posto la stessa domanda: può il teatro rappresentare il mondo?

Il testo mostra il conflittuale rapporto fra individuo e reale, al quale si aggiunge il tema dell’intellettuale (Marat e Sade) e il tema dell’annullamento di sé (il risultato della rivoluzione, che porta infine alla morte dei suoi sostenitori e fautori, come Marat)

Marat è trattato in modo curioso: viene presentato alla stregua di un bolscevico ante-litteram, animato da un certo estremismo ideologico pre-comunista (sembra che Weiss pensi alle condizioni dei paesi dell’est, succubi della sfera sovietica).

I contenuti sono importanti quanto le forme. Da questo punto di vista la linea dominante in Europa è l’assurdo (non c’è senso perché è il mondo ad essere assurdo) di Adamov, Beckett, Ionesco, Pinter. Questa linea è percorsa anche dal testo di Weiss, il quale, a differenza degli altri, non rinuncia al confronto che viene ambientato in un manicomio.

L’ambientazione costituisce elemento di verità storica poiché Sade fu rinchiuso nell’ospizio di Charenton, dove organizzava spettacoli. I “pazzi” sono in realtà individui scomodi alla società.

Il meccanismo del teatro nel teatro avviene in un mondo di matti: il matto è un alienato (assonanza con dimensione assurda. Questa realtà è incomprensibile ma per Weiss risponde ad una strategia, ad un calcolo).

I due protagonisti indicano la lacerazione della figura dell’intellettuale, ora spaccato in due metà. Weiss sta da entrambi le parti. Marat e Sade sono due tipi diversi di intellettuale: per uno deve esserci la rivoluzione, per l’altro essa deve essere catastrofica. L’ambizione catastrofica provoca la disillusione di Sade aprendo ad un’ulteriore tematica: il rapporto rivoluzione/disillusione. Qui si avverte il riferimento alla disillusione dell’autore, intellettuale, rispetto alle intenzioni rivoluzionarie che ora si manifestano nella sottomissione militare, politica e ideologica delle repubbliche dell’est. La poetica dell’assurdo, che si tinge volentieri dei cupi toni esistenzialistici, è la culla poetica più adatta.

CONSIDERAZIONI TECNICHE

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Disarticolazione del personaggio: il personaggio si dichiara o viene dichiarato personaggio, in linea coi principi del teatro epico e dello straniamento.

Messa in crisi della linea narrativa: la storia è smontata e ricomposta in quadri in successione. Le storie si spostano, si frantumano, spesso con le canzoni. Non c’è linearità. L’ordine è dato dal montaggio, ogni situazione ha una propria emblematicità e gode di forte autoreferenzialità.

Gioco delle opposizioni: formalizzazione (dissoluzione del formale).

Distanza/partecipazione (dell’autore e dei personaggi).

Visionarietà: è assente un’analisi puramente razionale

Rapporto azione verbale/azione scenica: è una componente fortissima, impone di seguire le didascalie. Si tratta di due testi che convergono verticalmente. I personaggi sono immobili quando parlano, anche se lo spettacolo richiede una ricchissima azione scenica parallela ai momenti verbali. Marat e Sade dissentono in totale immobilità.

Se Sade è dato per vero (la rappresentazione è ambientata nel 1808 quando i marchese è ancora vivo), Marat è “finto” (chiaramente, poiché morto 15 anni prima, nel 1793). Tuttavia è l’unico a non essere matto, è malato fisicamente. Marat parla con le parole di Sade, a loro volta parole di Weiss. Il teatro nel teatro porta alla conclusione che Marat è fittizio mentre Sade è vero. In realtà anche Sade è fittizio: entrambi sono  idee.

I atto molto più complesso del II che sembra più un’appendice.

Linea narrativa Corday: di lei si sa tutto o quasi: da dove viene, come e perché, chi incontra e come. L’acquisto del coltello è un piccolo momento di verità storica (brechtiano).

Liturgia di Marat: cantato dal coro commentatore (il quarto stato, come indica l’autore ad inizio dramma). È il leitmotiv drammaturgico. Weiss ha un rapporto estremamente musicale col testo: ad esempio vi è sempre la stessa musica e canzone per ogni entrata della Corday. L’espressione “povero Marat” è anch’essa leitmotiv. Questi elementi creano equilibrio formale. Brook elimina il motivo della Corday ma mantiene quello di Marat; nella sua regia alla Corday è associato il tema musicale di Marat.

“Rivoluzione” e “Libertà” sono parole molto frequenti: il personaggio che interpreta Duperret perde la calma, si agita, urla “libertà” ma quando viene preso e portato via non è più Duperret ma semplicemente il folle che lo rappresenta: questo è un momento straniante e rivelatorio sulla natura dei soggetti umani presi in analisi dal testo; si assiste allo sgretolarsi dello sdoppiamento che porta l’attore al personaggio.

Jaqcues Roux è spesso l’ultimo a parlare. Weiss è presente non solo nei due protagonisti ma anche nel prete rivoluzionario, contraddistinto dalla sua “ossessione stalinista”.

Le linee drammatiche di Sade e Marat sono monologiche: si parlano come usavano fare gli attori del 700, come i personaggi di Racine: ognuno enuncia i propri principi in una tirata alla quale succede quella dell’altro. Si parlano ma non si ascoltano (tema della incomunicabilità?? Atteggiamenti simili si riscontrano nell’espressionismo del Risveglio di Primavera di Wedekind).

Riferimento al “teatro della crudeltà” di Artaud: Marat vuole purgare il mondo in senso fisico. Sade fa un discorso sul “nostro corpo” dentro al quale deve nascere una rivoluzione. Il riferimento ad Artaud è esplicito cosi come lo è lo schema rappresentativo brechtiano: Artaud scrisse a Breton che lo espulse dal Surrealismo, riguardo alla rivoluzione dell’uomo e del mondo, auspicando una rivoluzione a prescindere, non solo di carattere sociale; il sociale è finzione (sembrano parole di Sade).

I discorsi di Sade fanno da commento alla linea narrativa più forte che è quella di Marat.

Coulmier serve solo a richiamare l’esistenza di un nuovo ordine costituito (gli illuminati e progressisti). Ha però anche funzione drammaturgica, perché come il coro, interrompe i lunghi soliloqui e dialoghi, soprattutto se sconvenienti all’ordine che rappresenta (l’età napoleonica). Il banditore esplica, ha controllo di sé, sta dentro e fuori al testo (risponde a Coulmier che non è un personaggio di Sade, bensì di Weiss). Il metateatro crea forte senso di instabilità, come gli è proprio. La figura del direttore del manicomio porta inoltre il discorso sul versante spettatoriale: da questo punto di vista si assiste ad una composizione a scatole, in cui convivono più schiere di spettatori: Coulmier e la famiglia, gli spettatori dell’ effettiva rappresentazione e gli spettatori del film, cioè noi. Il pubblico è la società.

Il primo dialogo fra Duperret e Corday è cantato perché di fronte alla rivoluzione appare banale (trattando di amore, felicità e sentimenti); sembra che Weiss dica ai suoi personaggi: “cantatevela”.

Nella prima scena si assiste all’atteggiamento militarista degli infermieri che, come gendarmi, camminano a passo sicuro (accentuato dal rumore dei tacchi sul palco) in direzione di un internato che deve essere redarguito. Anche questo elemento produce un notevole straniamento, poiché l’azione scenica è interrotta dall’ingresso (frequente) dei tutori dell’ordine, che si mostrano come mortificatori dell’istinto di folli che altro non sono se non individui scomodi alla società e per tale motivo confinati nel presidio di Charenton.

Altro momento straordinariamente straniante è la scena in cui l’interprete della Corday si avvicina minacciosa a Marat, dimenticando che dovrà attendere 3 tentativi prima di commettere l’atto omicida: Sade le si fa accanto e da regista demiurgo, interrompe quell’azione ed interviene ricordando al personaggio la giusta sequenza.

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