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Il Marat-Sade di Peter Weiss

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“La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat, rappresentato dalla compagnia filodrammatica dell’ospizio di Charenton sotto la guida del marchese de Sade” è il  titolo completo della drammaturgia scritta dalla lucida penna di Peter Weiss nel 1966 e successivamente messa in scena dal regista britannico Peter Brook in uno spettacolo che affronta alla maniera straniante il dibattito intellettuale tra Jean Paul Marat e il marchese de Sade.

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Il regista Peter Brook

Sono Jean-Paul Marat e il Marchese de Sade le due figure che si stagliano in una scena affollata, ma mai corale. La luce, che difficilmente asseconda l’attenzione dello spettatore, si sofferma a disegnare con precisione solo queste due immagini, che rappresentano gli effettivi poli drammatici. È un dialogo a distanza, quello che i due intraprendono attraverso la messinscena allestita dai pazienti del manicomio. Al centro della scena, Marat è attore, quasi sempre passivo, nella sua immobilità coatta dentro la tinozza del bagno, in cui trae ristoro dalla malattia dermatologica. La staticità di Marat, doppiata da quella del Marchese, seduto in poltrona per quasi tutta la durata dello spettacolo, è controbilanciata dal movimento frenetico e sconnesso della fedele Simone, che ricorda una marionetta.

A questo centro di gravità sul palcoscenico, corrisponde uno spettatore privilegiato nella platea, che giudica, suggerisce e buca continuamente la quarta parete. Ma è un pubblico che rappresenta l’aristocrazia restaurata, che assiste alla persecuzione e all’assassinio di Jean-Paul Marat. Cioè Coulmier, il direttore di Charenton, e la sua famiglia. Sulla scena invece una voce guida, forse quella dell’autore, che dà il ritmo agli attori del teatro nel teatro, scandendo le scene, accordando i toni e anche indicando all’orchestra il momento giusto per inserirsi.

La musica sottolinea soprattutto le scene più drammatiche, determinando un fortissimo contrasto. Un notevole stridore è poi quello con il corpo di Marat, che nella sua sofferenza riporta lo spettatore in una dimensione fisica, cui fa riferimento anche la presenza del Marchese de Sade. Sade commenta e interviene, ma si dice disgustato dalla violenza e dalla ferocia della rivoluzione e confronta la “spada” dei rivoluzionari con la “sferza” dei suoi piaceri.

Ma alla corporalità alludono anche le figure dei matti, che sono trattati come corpi puri, a volte anche costretti nelle camicie di forza, come se con il corpo si volesse paralizzare anche la mente malata. Tra questi Charlotte Corday, l’assassina di Marat, che tre volte bussa alla sua porta prima di compiere l’omicidio. In un difficile equilibrio tra il sonno e la veglia, incapace quasi di ricordare la sua parte, Charlotte trae dal ricordo del mito di Giuditta la forza per compiere quello che considera un tirannicidio. Ed è nella ricomposizione del quadro di David che il dramma trova uno dei suoi momenti più profondi.

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