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Il tatuaggio: tra trasgressione e conformismo

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Piuttosto strano il percorso che ha fatto il tatuaggio, nei secoli.

La parola “tattoo” si è originata dal Taitiano “Tattua” che significa “segnare”.

Sono stati proprio i polinesiani, infatti, ad introdurre questa pratica nel mondo, perchè associavano queste che, a tutti gli effetti, erano e sono decorazioni del corpo, a credenze sociali e religiose.

C’è da dire, però, che questo ruolo mistico non è stato assolutamente condiviso da altre culture, nel tempo: per i romani, ad esempio, segni contraddistintivi di questo tipo erano usati per riconoscere (e quindi marchiare, più che altro) i fuorilegge e gli schiavi.

Ancora, i marinari utilizzavano i tattoo per testimoniare viaggi ed imprese e, arrivando a tempi più moderni, negli anni 70/80, questi disegni sulla pelle erano legati al movimento Punk, alla voglia di ribellarsi, senza contare che la maggioranza delle persone che li eseguiva era fatta di galeotti, prostitute e criminali. Insomma, in moltissimi casi, chi possedeva un tatuaggio non era ben visto a livello sociale: un retaggio culturale che è arrivato, in qualche modo, fino a noi nel nuovo millennio, persino in quest’epoca in cui sembra proprio che l’anticonformismo sia diventato, paradossalmente, conformismo.

Il ruolo odierno del tatuaggio

Secondo le statistiche ISTAT, il primo tatuaggio viene fatto in un’età media compresa tra i 26 ed i 35 anni (52% della popolazione italiana). Il 30%, però, riguarda persone di età inferiore e, quindi, adolescenti.

Tutto questo si ricollega ad altri numeri altrettanto chiari: in molti, sia della vecchia generazione che di quella nuova, si pentono di aver eseguito alcuni tattoo, etichettandoli come “sciocchezze adolescenziali”. C’è chi li ha schiariti e ricoperti, con una tecnica molto particolare eseguita dai tatuatori professionisti, e chi li ha lasciati così come sono: perchè non bisogna mai dimenticare che, quando si decide di marchiare la propria pelle in questo modo, è per sempre!

Molti ragazzi si ritrovano a fare scelte, probabilmente, dettate dalla voglia di uniformarsi, di colpire, di contraddistinguersi in una massa che però, ormai, a furia di cercare di essere anticonformista è diventata conformista, capovolgendo i ruoli delle cose.

Gli psicologi assicurano che, in troppi casi, questo tipo di decisione viene presa con troppa leggerezza, senza pensare alle conseguenze del proprio gesto: la voglia di omologarsi, in sostanza, vincerebbe qualunque altro baluardo di timore o preoccupazione.

Naturalmente, c’è anche chi affronta questo percorso con maturità e convinzione reale: ogni immagine, frase, disegno che si sceglie di portare per sempre sul proprio corpo diventa il simbolo di una fase di vita, di un affetto, di un elemento che si ritiene fuso con la propria esistenza e la propria personalità. Una dedica che, nella maggioranza dei casi, per essere vera al 100% per tutta la vita, non deve riguardare qualcun altro, ma solo se stessi.

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