Il teatro sperimentale di Motus
Motus. La sperimentazione è l’officina del futuro, il luogo di discussione e di crisi del presente.
Ian Brady e Myra Hindley, the moors murderers. Così li chiamò la stampa per i loro feroci delitti nell’Inghilterra di “All we need is love“.
Piccoli episodi di fascismo quotidiano; questa la rinominazione che Motus stabilì. Al di là dei contenuti l’allestimento è la più chiara esemplificazione di come il linguaggio cinematografico possa dialogare con la pratica scenica. Montaggi “vivi” in cui la prestazione autentica di Dani Greggio (Ian) e Nicoletta Fabbri (Myra) si staglia sulla ripresa documentaria, traslando dalla scena finta all’immaginario concreto dello spettatore. Bombe li e bombe qui. La tecnica di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò garantisce un continuum attraverso spazi e tempi lontani ma non diversi.
Uno spettacolo poco adatto all’angusta scena teatrale, nato non a caso per rappresentazioni outdoor. Alla ricerca di Artaud ed accompagnati da Brecht, i Motus hanno realizzato un viaggio nella selva oscura del proletariato urbano e delle sue chiusure, delle sue intolleranze così vitali per la micro-comunità.
Uno spettacolo shockante, terribile, frastornanate. Uno dei pochi che vale la pena di vedere. Una scrittura che attinge a Fassbinder e non ai classici o ai maestri di scuola. Una piece moderna che non si fregia della povertà dei mezzi ma ricerca la commistione, la contaminazione, la sperimentazione. Teatro e cinema sono due cose diverse, ma possono anche esserne una. Basta non pensare, dimenticare per un attimo certe letture. Basta essere concreti e badare ai mezzi di cui si dispone, a quelli che la cultura e le circostanze offrono nell’immediato. Fonderli non sarà peccato. Ignorare il potere della fusione si. Distinguere idem. Distillaregli atomi della creatività pure. Così si brancola al buio. La luce verrà solo provando, unendo, allegando, mischiando. Sperimentando.
