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Un incallito spettatore

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Ma hai mai provato? – No! – e allora come fai a dirlo se non l’hai mai provato? – Ma le cose mica bisogna provarle per sapere se vanno bene oppure no: lo si può pre-vedere per non fare errori.

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GUARDARE MA NON TOCCARE – Quello del professore di matematica interpretato da Moretti è l’atteggiamento speculazionista di chi non vuol partecipare al gioco, ma solo guardarlo per confutarne modalità e regole, in una spirale genetica in cui l’ossessione analitica s’intreccia con il portato reale (con sommo disgusto). Guardare-riconoscere-giudicare è il treno diretto che senza soste intermedie conduce l’andamento quotidiano del protagonista del film. Ci si domanda se è questo un frammento episodico della carriera spettatoriale di ognuno di noi oppure può aspirare alla categorizzazione, all’etichettatura di una moltitudine. Cioè osservare e giudicare senza intromettersi. A ben vedere il finale del film rivela una decisa svolta nella pratica spettatoriale apparentemente passiva del giovane professore, ma rimaniamo nell’ambito delle potenzialità di questa strategia prospettica.

La proposta che gli viene consegnata è quella dell’attività: uno spettatore che dovrebbe entrare in gioco, magari sporcandosi: il suo look è preciso, pulito ed ordinato come contraltare al dinamismo psichico provocato dagli stimoli ottici che scandiscono la sua esistenza. Lui non vuole, si rifiuta, vuol mantenere la posizione di vantaggio che gli è consentita dalla distanza fra sè e gli altri, distanza formalmente colmata dall’osservazione curiosa ed ossessiva, la quale gli permette un giudizio netto e perentorio sulle cose. Come una vedetta insubordinata che abbandona la torre ed imbraccia l’artiglieria. Come un tackle deciso del difensore che intravede la presunta pericolosità dell’attaccante e lo falcia prima ancora che abbia la palla. Intravedere: è forse questa, alla fine, la natura dello sguardo che Michele getta sulla realtà? E come sarà l’azione nata da tale visione? Per quel che ne sappiamo, imprevista e tragica.

AUTODIFESA – Ascoltando le battute di alcune scene ci si accorge del lido ove vuol approdare lo sguardo del regista: “…un cambiamento che non so se mi va bene. Quando c’è un legame non puoi solo osservare: tu stai qui, gli altri sono li…bisogna mettersi in gioco“. L’individualità garantisce la purezza dello sguardo, mentre la pratica associativa appare di natura compromissoria. Il superuomo morettiano difende il proprio status erigendo fortezze inespugnabili dalle “scimmie” che popolano i mini-universi della civiltà moderna (divorzi che danno vita a famiglie allargate, o adulti che minacciano l’integrità della coppia con iniezioni di vitalità esterne). Tornano alla mente le sequenze finali di un vecchio film di King Vidor, The Crowd,  dove l’ambizione all’estraneazione dalla massa finisce col dialogare con la necessità della fusione con essa. Si è soggetti scopici ma anche soggetti sociali. Michele, il protagonista di “Bianca”, valuta la prima opportunità ed esclude la seconda.

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