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Uno sguardo a “The Artist”

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Brecht è un po’ datato, dice la signora in pelliccia.

The Artist: parliamo subito di cose concrete, di fatti visti o fatti sentiti. Avvertenza: vedere e sentire non

la scena di chiusura del film

sono categorie grammaticali da usare così, un po’ a casaccio, nella fattispecie. L’uno esclude l’altro. L’uno in rovina, l’altro in ascesa.   Il film di Michel Hazanavicius ci trasporta nella Hollywoodland alla fine degli anni 20. Il film è quasi interamente muto, parla quasi interamente del tragico passaggio al sonoro, da uno star system ad un altro, da un divo ad una diva. E poi i discorsi sul cinema, sul divismo, sulla natura finta del film…e mettiamoci dentro anche quella ingenua predilezione per i gran gala, i grandi saloni, le collane di perle e i capelli con la fila laterale bloccata dalla brillantina. Insomma tutte belle cose da far vedere e che si sprecavano negli ingenui giorni che precedevano la grande depressione.   Si potrebbe, un po’ disonestamente, parlare del rapimento dello spettatore contemporaneo (che oggi ha altri interessi, altre necessità) che viene rispedito nella sala del 1927, accomodato nella fila che precede l’orchestra e magari con la nazionale senza filtro in attesa del glorioso momento della proiezione per vedersi consumare fra le labbra accanite dello spettatore in viaggio nel tempo.   Spettatore, spettatori. La storia è solo una minima componente di un viaggio che, per trovare un concreto significato, deve necessariamente coinvolgere la categoria del pubblico come protagonista e non come scenografia. Perché si potrebbe fare un film muto, uguale uguale a quello di Chaplin e Keaton e farlo poi vedere al multisala. Però così non convincerebbe, funzionerebbe in maniera sterile: io guardo il film nel modo in cui l’avrei visto se fossi vissuto nel ’27. Un po’ come i documentari sulla guerra o sulle epoche passate: “oggi si parla di”. Hazanavicius lo ha capito e ha deciso di ospitare il suo pubblico in una scatola cinese che gli consente di osservare il fantasioso spettatore del muto e il futuristico osservatore supportato dal sonoro, il nuovo pubblico bramoso di “fresh meat” . Talking, si potrebbe aggiungere. Osservare il pubblico che osserva è spaesante e costruttivo: il confronto avviene non con la proiezione ma con la società che vi assiste. E se l’artista fosse proprio quel vecchio dispositivo giudicante lo scorrere muto degli eventi alle prese con la nuova percezione sonora? E’ un film sul muto o sulla società che esso investe?   La vicenda scenica è vicenda sociale. Ti faccio vedere come, seguimi e inciampa nei continui svelamenti dei trucchi dentro ed intorno alla cinepresa!   Chi rinnova il linguaggio non può essere datato, perché il linguaggio è sempre in continuo aggiornamento. La grammatica dello spaesamento, dell’inciampo, della contusione non è datata. E’ il paradigma della odierna e perdurante analisi del reale.   La pelliccia, quella si che è datata. Silence please.   a presto Signora.   The Artist – trailer

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