Le dive delittuose di Annibale Ruccello
Un teatro di solitudini femminili nella morsa del lento ed effimero trascorrere del quotidiano. Da Jennifer ad Anna Cappelli, da Clotilde a “Notturno di donna”. Scrittura di fatti minimi, episodici. Anche il suo lavoro storico, Ferdinando, è un racconto minimale, la riduzione episodica di una Storia, quella di Napoli e quella della sua Arte. Annibale origlia sempre e per questo racconta unità minime, perchè spia dalla serratura e ascolta attraverso la parete. Lo stesso Ruccello ammette che gli piacciono storie degradate. Quindi scomposte e scomponibili, prive di unità ed isolate in modo tremendamente kitsch. La parola ai suoi amici.
Autobiografico e sofferente ma audace per amore. Per amore del teatro guida l’odiata automobile fino alla Lucania in compagnia di Enzo Moscato. Trascorrendo il tempo a parlare, parlare, parlare. Questo è il contributo tecnicamente più notevole della drammaturgia di Ruccello: la parola. Le storie degradate sviluppate in un linguaggio anch’esso degradato (dalla tv e dalla cultura di massa) ma capace di singolari impennate stilistiche e acustiche, come nell’operazione linguistica alla base di “Ferdinando”. Non il solito dialetto napoletano, ma un corposo ed arcaico codice in cui l’espressione sonora è intimamente e necessariamente legata a quella gestuale, facciale.
Oggi il suo nome campeggia nei programmi di teatri e teatrini. Le sue donne, le sue solitudini rabbiose e deluse siedono sui palchi di mezza Italia. Che con le sue recenti e nefaste cronache crea felici sponde alle dive delittuose del suo teatro.